The Mask

Betrand Prévost (Université de Bordeaux)

Sul camouflage animale. Forma e individualità

Sala Seminari – 13 Marzo 2018, 16:00/18:00


Silvia Romani (Università Statale di Milano)

Sotto mentite spoglie. Miti e rituali transgender dall’antichità greca

Sala Seminari – 10 Aprile 2018, 16:00/18:00


Aoife Monks (Queen Mary University of London)

Actors Unmasked. The Idea of The Real Performer

Sala Seminari – 24 Aprile 2018, 16:00/18:00


Carlo Severi (EHESS, Paris)

Oggetto-persona

Aula 113 – 15 Maggio 2018, 16:00/18:00


Ruggero Eugeni (Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano)

Il volto come maschera nel cinema di Stanley Kubrick

Sala Seminari – 12 Giugno 2018, 16:00/18:00


SEE BELOW:


Sul camouflage animale. Forma e individualità

Betrand Prévost (Université de Bordeaux, Bordeaux)

Abstract

Le camouflage des animaux serait un mode d’être négatif, mettant en œuvre une visibilité en retrait. On essaiera au contraire de lui redonner toute sa positivité esthétique en considérant la singularité des formes extrêmement variées qu’il produit. Il apparaît vite que le camouflage nous contraint de remettre en question le privilège de l’individualité et son traditionnel rabattement sur la singularité. Le camouflage disruptif, notamment, qui vient briser l’unité de forme individuelle, fournit l’argument en faveur d’une individuation avec le milieu, et plus encore avec le monde: l’animal camoufleur ne disparaît qu’au titre d’une visibilité individuelle; il apparaît au contraire dans toute sa splendeur pré-individuelle quand il s’involue avec des composantes de milieu pour les rendre les plus expressives.

Bio

Bertrand Prévost, historien de l’art et philosophe, est maître de conférences habilité à l’Université de Bordeaux-Montaigne. Il a notamment publié La peinture en actes. Gestes et manières dans l’Italie de la Renaissance (Actes Sud, Arles 2007); Botticelli. Le manège allégorique (Editions 1:1, Parigi 2011); Peindre sous la lumière. Leon Battista Alberti et le moment humaniste de l’évidence (PUR, Rennes 2013).

Sotto mentite spoglie.
Miti e rituali transgender dall’antichità greca

Silvia Romani (Università Statale di Milano, Milano)

Abstract

Do I contradict myself?

Very well then I contradict myself, (I am large, I contain multitudes).

Walt Whitman, Song of Myself, c. 51

In ossequio alla legge della dépence (George Bataille e Marcel Mauss), la civiltà greca antica pare incessantemente impegnata in una messinscena grandiosa che mira, da ultimo, a definire con precisione millimetrica i confini dell’identità, personale e collettiva. Il travestimento, in questo quadro, è lo strumento privilegiato attraverso cui mettere a fuoco i contorni, un modo per “ricomporre”, attraverso una scomposizione di comportamenti, abiti e gesti (collettivi e individuali). Il travestimento dell’antichità greca ha molti volti: il mascheramento di genere la gioca da padrone sia sul piano rituale sia su quello mitico sia nello spazio teatrale.

Bio

Silvia Romani è professore di Mitologia e di Religioni del Mondo Classico all’Università Statale di Milano. Fra i suoi lavori recenti le monografie Il mito di Arianna (Einaudi, Torino 2015) e Una passeggiata nell’Aldilà in compagnia degli Antichi (Einaudi, Torino 2017).

Actors Unmasked.
The Idea of The Real Performer

Aoife Monks (Queen Mary University of London, London)

Abstract

The actor as a cultural figure has often been accused of dissemblance, artificiality and untrustworthiness. At least, this is what William Hazlitt claims in his 1817 essay, ‘On Actors and Acting’. However, Hazlitt springs to the defence of actors by arguing that their ‘real’ appearance on the street is more pleasurable than that of men who are ‘truly’ great. In this paper, I will investigate the notion of the ‘real actor’ as a fantasy and outcome of stage performance. In doing so, I investigate the ambivalent social status of actors, considering how they might be situated unclearly within a ‘professional’ class, and how they lay claim to identity as ‘artists’ through the public depiction of their everyday lives. I argue that the ambiguities of actors’ social status can be traced in the material objects that they accrue, such as costumes, props and portraits, and suggest that the case of the ‘real’ actor reveals the broader confusions and anxieties at stake in professional and artistic identity, since the birth of the modern marketplace.


Bio

Dr. Aoife Monks is Reader in Theatre and Performer Studies and Director of Research at the Department of Drama, Queen Mary University of London. She is Consulting Editor of Contemporary Theatre Review Journal and Co-Convenor of the Feminist Research Working Group at the International Federation of Theatre Research. She is the author of the monograph The Actor in Costume (Macmillan Education, Londra 2009), and co-author with the costume designer Ali Maclaurin of Readings in Costume (Bloomsbury, Londra 2014). She is currently working on a book on the cultural histories of virtuosity, called Bad Art.

Suggested Reading:

W. Hazlitt, On Actors and Acting. https://bit.ly/3GWZ7RZ

J. Roach, Celebrity Erotics: Pepys, Performance, and Painted Ladies, in “The Yale Journal of Criticism”, 16 (1), 2003. https://bit.ly/33Y1vcH

B. O. States, The Actor’s Presence: Three Phenomenal Modes, in “Theatre Journal”, 35 (3), 1983, pp. 359-375: https://bit.ly/3KBp77H


Oggetto-persona

Carlo Severi (EHESS, Paris)

Abstract

Ciascuno di noi ha esperienza di una parola virtualmente rivolta ad animali o a oggetti inanimati (bambole, automobili, computer…), ai quali attribuiamo, quasi senza volerlo, una personalità umana. Ma esistono relazioni umane con gli oggetti meno superficiali: è durante le azioni rituali che gli oggetti assumono, in modo più stabile, un certo numero di funzioni proprie degli esseri viventi. Nello spazio del rituale, sotto forma di statuette, immagini dipinte o di feticci, gli oggetti sono naturalmente tenuti a rappresentare degli esseri (spiriti, divinità, antenati) costruiti a immagine umana. Ma quando l’oggetto agisce, o prende la parola, non rappresenta più un essere soprannaturale, lo rimpiazza. Ne restituisce la presenza. Per comprendere la parola rituale bisogna dunque pensare lo statuto della rappresentazione iconica non più a partire dai suoi aspetti formali, ma attraverso l’analisi del suo contesto d’uso. Ed è necessario considerare anche quali trasformazioni l’atto verbale subisce, nelle premesse e negli effetti, quando è attribuito a un artefatto.

Bio

Carlo Severi insegna all’EHESS di Parigi ed è associato al CNRS. Membro del laboratorio di antropologia sociale al Collège de France dal 1985, ha lavorato dapprima sulla tradizione sciamanica degli Indiani Kuna di Panama, studiando da un lato le teorie indigene della malattia mentale e dall’altro le modalità di trasmissione del sapere sciamanico. Ha quindi sviluppato un’analisi comparativa delle arti mnestiche e ha formulato con Michael Houseman una teoria del rituale, fondata sull’analisi relazionale delle azioni. Attualmente lavora sulle forme di soggettività (definite dall’azione, la parola e lo sguardo) attribuite agli artefatti. Tra le sue molte pubblicazioni tradotte in diverse lingue si ricordano: La memoria rituale (La Nuova Italia, Firenze 1993); Naven ou le donner àvoir (con M. Houseman, Maison Des Sciences De L’homme, Parigi con M. Houseman, 1994), e Le Principe de la chimère. Une anthropologie de la mémoire (RUE D’ULM/Musée du Quai Branly, Parigi 2007); Il percorso e la voce. Un’antropologia della memoria (Einaudi, Torino 2004) e L’oggetto persona. Rito, memoria, immagine (Einaudi, Torino 2018).

Il volto come maschera nel cinema di Stanley Kubrick

Ruggero Eugeni (Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano)

Abstract

Il volto ha costituito un oggetto privilegiato di rappresentazione cinematografica, soprattutto in congiunzione con la figura del primo o primissimo piano e talvolta dello sguardo in macchina. In questo contesto esso viene preso tra due estremi opposti. Da un lato una estrema e imprevedibile variabilità legata al volto come forma di espressione patemica, ma soprattutto come orologio visibile e vivibile del passaggio del tempo e della sua durata. Al lato opposto, il volto vede azzerata o congelata la sua mimica: è il caso della maschera. Al di là delle due possibilità offerte dalla maschera (azzeramento patemico nella maschera neutra; assolutizzazione di una specifica forma patemica nella maschera espressiva), la maschera cessa di essere un indice della durata temporale e dunque riporta il cinema alla sua origine fotografica. L’intervento analizza alcuni aspetti della maschera come forma di esperienza temporale nel cinema di Stanley Kubrick.

Bio

Ruggero Eugeni è professore ordinario di Semiotica dei media presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore (Milano). Ha curato di recente con Adriano d’Aloia Neurofilmology. Audiovisual Studies and the Challenge of Neurosciences, special Issue di “Cinema & Cie” (2015) e Teorie del cinema. Il dibattito contemporaneo (Cortina, Milano 2017). Il suo sito Media | Experience | Semiotics è http://ruggeroeugeni.com.

Suggested Reading:

J. Aumont, Du visage au cinema, Cahiers du cinema, Paris 1992.

R. Eugeni, Invito al cinema di Stanley Kubrick, 4a edizione, Mursia, Milano 2014.

G. Franchin, L’arte del volto. Per un’antropologia dell’immagine, Vita e Pensiero, Milano 2011.

D. Metlić, “Unmasking the Society: The Use of Masks in Kubrick’s Films”, in J. Fenwick, I.Q.

Hunter, E. Pezzotta (eds.), Stanley Kubrick: A Retrospective, in Cinergie – Il cinema e le altre arti, 12, 2017, pp. 21-30.

J. Sperb, The Kubrick Facade: Faces And Voices in the Films of Stanley Kubrick, Scarecrow Press, Lanham (Maryland) 2006.

N. Steimatsky, The Face on Film, Oxford U.P., Oxford – New York 2017 (si consiglia la lettura del cap. 1).