The Uniform

Barbara Carnevali (EHESS, Paris)

L’uniforme. Un’analisi estetico-sociale

Sala Seminari – 18 Febbraio 2020, 17:00/19:00


Giulia Maria Chesi (Humboldt Universität, Berlin)

Le vesti persiane come “uniforme” di alterità radicale

Virtual Room – 21 Aprile 2020, 17:00/19:00


Jane Tynan (University of the Arts, London)

Sartorial Uniformity and Corporeal Power

Virtual Room – 12 Maggio 2020, 17:00/19:00


Geraldine Biddle-Perry (Central St Martins, London)

Uniform of Non-Uniformity. Outdoor Recreational Groups in Britain before the Second World War

Virtual Room – 9 Giugno 2020, 17:00/19:00


Maurizio Guerri (Accademia di Brera, Milano)

Uniforme da guerra e uniforme del lavoro. Alcune note su Ernst Jünger

Aula Crociera Studi Umanistici – 30 Giugno 2020, 17:00/19:00


SEE BELOW:


L’uniforme. Un’analisi estetico-sociale

Barbara Carnevali (EHESS, Paris)

Abstract

Gli abiti sono una delle più importanti «superfici mediali» che modulano la nostra apparenza sociale, calibrando cosa viene mostrato agli altri e cosa viene nascosto, cosa viene rappresentato nella sfera pubblica accessibile e percepibile a tutti e cosa invece viene sottratto al dominio della manifestazione esteriore. Se nella società moderna e differenziata, soggetta alle dinamiche della moda e agli imperativi dell’autenticità individuale, il vestito è diventato il campo per eccellenza dell’autoespressione e della costruzione creativa dell’identità, l’uniforme rappresenta invece un interessante caso di vestito che ha conservato una funzione classificatoria e categoriale “premoderna”: l’uniforme esprime in primo luogo la nostra appartenenza a un gruppo (professionale, sportivo, militare, politico), la nostra conformità sociale e non la nostra differenza individuale. Il seminario rifletterà sulla dimensione estetico-sociale dell’uniforme, sul suo rapporto con l’identità collettiva, con i concetti di stile e di habitus, con l’incorporazione, e sulle varie formazioni di compromesso cui dà luogo quando le esigenze di appartenenza o fedeltà a un codice o a una tradizione confliggono con le spinte verso l’individualizzazione.

Bio

Barbara Carnevali è maître de conférences in Filosofia all’EHESS di Parigi. Si occupa in particolare dei rapporti tra estetica, società e politica e delle forme della soggettività contemporanea. Tra le sue pubblicazioni: Romanticismo e riconoscimento. Figure della coscienza in Rousseau (Il Mulino, Bologna 2004); Social Appearances. A Philosophy of Display and Prestige (Columbia University Press, New York 2020). Fa parte del comitato direttivo delle riviste “Intersezioni”, “European Journal of Philosophy” e “Iride. Filosofia e discussione pubblica”.


Le vesti persiane come “uniforme” di alterità radicale

Giulia Maria Chesi (Humboldt Universität, Berlin)

Abstract

Il cosiddetto “Logos Etiope”, nel terzo libro delle Storie di Erodoto, ci racconta l’incontro tra gli Etiopi e i Persiani del Gran Re Cambise. Gli Etiopi di Erodoto sono gli abitanti dell’antico Kush (un territorio che si estendeva dall’attuale Nubia fino alla parte settentrionale dell’odierno Sudan): essi hanno la pelle nera; sono gli esseri umani più belli e longevi del mondo; sono giusti e timorosi degli dèi ed eleggono i loro re. Cambise, tramite un’ambasceria, fa pervenire agli Etiopi dei doni di grande pregio – abiti dalla foggia raffinata, gioielli e unguenti profumati, con i quali i Persiani sono soliti impreziosire i loro corpi e abbellire la loro apparenza. Gli Etiopi, tuttavia, capiscono che gli ambasciatori sono delle spie inviate per esplorare il loro territorio, ed infatti, di lì a poco, Cambise muoverà guerra agli Etiopi. La campagna persiana finisce in un disastro: persi nel deserto, i soldati persiani iniziano a mangiarsi uno con l’altro. In questa narrazione, i gioielli e le preziose vesti persiane date in dono agli Etiopi posso essere lette come una “divisa” o una “uniforme” nel senso che rendono facilmente riconoscibili e distinguibili i tratti culturali caratteristici dei Persiani: a differenza degli Etiopi, giusti, pacifici e bellissimi di natura, i Persiani, aditi al lusso, sono lascivi, ingannatori, belligeranti, scellerati e la loro bellezza, frutto di escamotages (vesti; gioielli; oli) solo posticcia. In questa funzione tassonomica, la divisa persiana è simbolo di alterità radicale perché, ex negativo, proietta sugli Etiopi l’ideale greco per antonomasia – la kalokagathia (è giusto chi è bello). Erodoto, la voce narrante di questo episodio, ci presenta gli Etiopi, e non i Greci, come il popolo più bello e giusto sulla terra – popolo contro cui i Persiani hanno cercato miseramente di muovere guerra. L’uniforme appare, in questo racconto, come un dispositivo che mette in crisi la legittimità culturale della kalokagathia greca: essere bianchi = essere belli = essere giusti. 


Bio

Giulia Maria Chesi è Assistant Professor di Greco all’Università Humboldt di Berlino, Germania. Si interessa alle teorie postumane e la loro applicabilità alla letteratura classica. Tra le sue pubblicazioni: Il gioco delle parole. Legami di sangue e rapporti di potere nell’Orestea di Eschilo (De Gruyter, Berlino 2014); Co-editore con Francesca Spiegel di Classical Literature and Post/humanism (Bloomsbury, Londra 2020).

Suggested Reading:

J. Baudrillard, Les stratégies fatales, Paris 1983 (primo capitolo). 

J. Baudrillard, M. Guillaume, Figures de l’alterité, Oaris 1994 (primo e secondo capitolo).

J. Baudrillard, J. Nouvel, Les objets singuliers, Paris 2000 (pp. 11- 44).

S. Federici, On Primitive Accumulation, Globalisation and Reproduction, “Friktion –Magazin”, 2017 [online].

Sartorial Uniformity and Corporeal Power

Jane Tynan (University of the Arts, London)

Abstract

A militarized form of dress, uniform became critical to a modern culture increasingly concerned with regulating time, space, and bodies. Public health and social reform programs turned their attention away from larger systemic inequalities to instead govern the micro-territory of the body. For various civil institutions sartorial uniformity helped to erase local, ethnic, political, and spiritual allegiances in favor of a unified and authorized identity. Uniform also aided the surveillance of the citizen. This session explores uniform through ideas of governmentality and considers how the codification of dress can measure whether bodies are exceeding cultural norms. Sartorial uniformity has extraordinary visual, material, and symbolic power and uniforms have been used to variously intimidate, discipline or show solidarity. As well as exploring the repressive qualities of uniform, in this session we also look to utopian aspects; we reflect on how standardized clothing has emboldened activists and can promise liberation from centralized forms of power.


Bio

Jane Tynan is a lecturer in Design and Visual Culture at Central Saint Martins, University of the Arts London. Her research encompasses fashion studies, design history and visual culture. She has contributed to various conferences and published volumes on conflict and visual culture and has explored the critical role uniform played in the development of modern policing, in the military and throughout civil society. New research considers design’s critical role in transforming ideas of citizenship and in particular in shaping forms of activism and acts of civil disobedience. Her publications include: British Army Uniform and the First World War: Men in Khaki (Palgrave Macmillan, Londra 2013) and Uniform: Clothing and Discipline in the Modern World (Bloomsbury, Londra 2019), both of which explore uniform as an embodied social practice. She is currently series editor for Palgrave Studies in Fashion and the Body.


Uniform of Non-Uniformity. Outdoor Recreational Groups in Britain before the Second World War

Geraldine Biddle-Perry (Central St Martins, London)

Abstract

Uniforms might differ in terms of affiliation and allegiance and such differences materially embodied in distinctions of fabric, design, pattern- or color-way, but the idea of a formal repertoire of what constitutes a uniform and its motivation is easy to grasp. As the dictionary definition of uniform states: “alike all over, throughout…a distinctive garb for members of a body; a suit of it”. But can non-uniformity be equally distinctively garbed to distinguish members of a body? This is the essential paradox underpinning this paper and my current research into the evolution of outdoor leisure clothing in the 19th and 20th centuries. The paper looks at examples of participation in outdoor recreation by various groups in Britain before the Second World War who wrestled with this essential dilemma, and at their attempts to prescriptively embody ideals of non-conformity, non-uniformity, and anti-militarism in and through a distinctive uniformity of fabric and clothing design choices.


Bio

Geraldine Biddle-Perry is a fashion and cultural historian and lectures in Cultural Studies at Central St Martins, University of the Arts London. Her research and writing explores the self-conscious fashioning of diverse modern bodies through popular consumption. She is the author of Dressing for Austerity (I.B. Tauris, Londra 2017) and Series Editor of an important new multi-volume collection currently in production exploring the Cultural History of Hair from Antiquity to the present day.

Suggested Reading:

G. Biddle-Perry, “Fashionably Rational: The Evolution of Uniformed Leisure in Late Nineteenth-Century Britain” in J. Tynan and L. Godson (eds.) Uniform: Clothing and Discipline in the Modernm World, Bloomsbury Academic, London and New York 2019, pp. 109-135.

D. Matless, Landscape and Englishness, Reaktion, London 1998.D. Matless, “The New Outdoors”, in Tim Wilcox (ed.), A Day in the Sun: Outdoor Pursuits in Art in the 1930s, Phillip Wilson, London 2006.

A. Pollen, The Kindred of the Kibbo Kift: Intellectual Barbarians (London: Donlon Books, 2015).

C. Ross, O. Bennett, Designing Utopia: John Hargreave and the Kibbo Kift, Philip Wilson, London 2015.

H. Taylor, A Claim on the Countryside: A History of the British Outdoor Movement, Keele University Press, Keele 1997. 


Uniforme da guerra e uniforme del lavoro.
Alcune note su Ernst Jünger

Maurizio Guerri (Accademia di Brera, Milano)

Abstract

Ernst Jünger (Heidelberg 1895; Riedlingen 1998) è stata una figura centrale per la storia della Germania del Novecento, sia sul piano storicopolitico, sia sul piano letterario e filosofico. Eroe della Prima guerra mondiale (fu l’unico sottoufficiale tedesco decorato con l’Ordre pour le mérite) e ufficiale della Wehrmacht nella Seconda fu autore di testi fondamentali come il romanzo autobiografico Nelle tempeste d’acciaio (1920) e i saggi La mobilitazione totale (1930) e Il lavoratore. Dominio e forma (1932) in cui pone al centro il tema della mutazione del ruolo della guerra e del lavoro nel mondo contemporaneo. Determinante sotto questo aspetto è la riflessione dedicata alla uniforme e alla modificazione della sua funzione in ambito bellico e in ambito lavorativo. Sotto questo aspetto la Prima guerra mondiale si pone come una «linea rossa» che apre all’ambiente della guerra e del lavoro così come si impongono a noi oggi a livello globale.


Bio

Maurizio Guerri svolge attività di ricerca all’Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione in Italia. Insegna Filosofia Contemporanea e Storia della Comunicazione Sociale presso l’Accademia di Belle Arti di Brera. Le sue ricerche riguardano la filosofia delle immagini, i rapporti tra arte, politica e cultura visuale, l’estetica del Novecento con particolare riferimento alla tradizione morfologica. È tra i coordinatori del CRAB, Centro di Ricerca dell’Accademia di Brera sulla visual culture. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo: Ernst Jünger. Terrore e libertà (Agenzia X, Milano 2007); Bellezza e libertà. Il destino della civiltà europea nel pensiero di Oswald Spengler ed Ernst Jünger (Mimesis, Milano 2008); La mobilitazione globale (Mimesis, Milano 2012); Le immagini e le guerre contemporanee. Stereotipi, rimozioni, chance (Meltemi, Milano 2017).